La Corte di Cassazione, Sezione Quarta penale, con sentenza n. 22080/19, depositata il 21 maggio 2019, ha statuito che il comportamento dell’automobilista alla guida non è da ritenersi punibile poichè il superamento della soglia di punibilità è ridotta, non ha posto in essere manovre pericolose e ha guidato durante la notte senza traffico.

Il fatto

Un automobilista tedesco ha percorso una strada extraurbana e, in seguito ad un controllo della polizia stradale, è risultato avere un grado alcolemico poco al di sopra del limite legale.

Il tasso alcolemico rilevato è di 0,82 grammi per litro.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello poi, hanno convenuto sulla punibilità del soggetto.

La pronuncia 

La Cassazione, invero, ha ritenuto non punibile l’automobilista, poichè il comportamento posto in essere è stato ritenuto di lieve entità dato che lo stesso era incensurato e senza carichi pendenti per fatti diversi.

Inoltre, è stato ritenuto lieve la circostanza del superamento di pochi grammi per litro, non è stata posta alcun tipo di manovra pericolosa per altri automobilisti e guidava in assenza di traffico e alle quattro della mattina.

Per rafforzare la decisione, gli Ermellini, hanno indicato che sul verbale non era stata annotato alcun tipo di violazione di norme del Codice della Strada.

Per tale motivo la Corte ha sancito la non punibilità dell’automobilista ex art. 131 bis cod. pen..

Sent non punibilità tasso alcolemico 0,82

 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Il T.A.R. Toscana, con la sentenza n. 684, depositata in data 8 maggio 2019, ha stabilito che il reimpianto di un nuovo vigneto va qualificato come movimento di terra pertinente ad attività agricola non vincolato al rilascio di un titolo abilitativo, qualora ciò non comporti un’alterazione permanente dello stato dei luoghi.

Il fatto

La ricorrente impugnava il provvedimento del Comune di Carmignano che richiedeva il permesso di costruire per l’esecuzione di interventi di sbancamento di notevole entità su un terreno agricolo, lavori che erano tali da alterare la morfologia del terreno in modo irreversibile.

Il Comune si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

La pronuncia

Il TAR Toscana, richiamandosi ad un precedente giurisprudenziale del TAR Veneto 2015, ha affermato che il reimpianto di un nuovo vigneto in sostituzione di quello precedente rimasto improduttivo va qualificato come movimento di terra pertinente ad attività agricola e non soggetto al previo rilascio di autorizzazione paesaggistica o titolo edilizio, a condizione che non venga alterato in modo permanente lo stato dei luoghi.

Nel caso di specie lo sbancamento del terreno effettuato dalla società ricorrente per il reimpianto del nuovo vigneto non altera la morfologia del terreno in modo irreversibile, essendo strettamente pertinente all’esercizio dell’attività agricola e pertanto non necessita del rilascio del titolo autorizzativo.

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Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

In tema di violazioni del codice della strada, quando non è possibile il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria ex art. 202 C.d.S., la mancata impugnazione del verbale non determina la formazione del titolo esecutivo, essendo impugnabile esclusivamente l’ordinanza ingiunzione.

Il fatto

Una società francese intestataria di un autocarro, regolarmente immatricolato in Francia e con telaio associato ad una targa francese, lo ha venduto ad un’altra società tedesca, la quale, poi, lo ha trasferito ad un’impresa italiana. La società francese, tuttavia, non ha mai provveduto alla radiazione del mezzo.

Il titolare dell’impresa italiana ha ricevuto una sanzione amministrativa per aver circolato alla guida di un autocarro munito di targa non propria.

Sia il Giudice di Pace, in primo grado, sia il Tribunale, in appello, hanno accolto l’opposizione promossa dal proprietario del veicolo.

La Prefettura di Genova ha, allora, promosso ricorso per cassazione, in quanto l’opposizione sarebbe inammissibile perché il ricorrente avrebbe potuto impugnare l’ordinanza ingiunzione e non il verbale di accertamento.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13676, pubblicata il 21 maggio 2019, ha accolto il ricorso perché fondato.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, nelle ipotesi in cui non sia applicabile l’art. 203 C.d.S., che prevede la possibilità di impugnare il verbale di contestazione dinanzi all’autorità giudiziaria, si applica la disciplina generale della L. 689/1981, che prevede la possibilità di impugnare solo l’ordinanza-ingiunzione.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Qualora il decreto prefettizio preveda l’installazione di un autovelox lungo solo un senso di marcia, il verbale di violazione del codice della strada emesso a seguito di un accertamento effettuato mediante la rilevazione di un dispositivo posizionato sul contrapposto senso di marcia è illegittimo, difettando di uno specifico provvedimento autorizzativo.

Il fatto

Un cittadino ha ricevuto una sanzione amministrativa per aver superato i limiti di velocità.

Egli ha, però, proposto opposizione verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada perché l’autovelox che ha rilevato la sua infrazione si trovava sul lato destro della carreggiata, anziché sul lato sinistro, come previsto dal decreto prefettizio di autorizzazione.

Dapprima, il Giudice di Pace e , in grado d’appello, il Tribunale di Isernia hanno accolto il ricorso del conducente.

La Pubblica Amministrazione accertante la violazione, allora, ha promosso ricorso per cassazione.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato e ha, dunque, rigettato il ricorso.

Se, da un lato, è vero che il prefetto non ha l’obbligo, nell’individuare le strade dove posizionare i velox, di precisare il senso di marcia interessato dalla rilevazione, dall’altro lato, qualora invece lo specifichi, saranno legittimi solo i rilevamenti effettuati mediante i dispositivi posizionati in conformità al provvedimento autorizzativo.

Nel caso concreto, dunque, il verbale è stato correttamente annullato.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Con la sentenza n. 22228/2019, depositata il 22 maggio 2019, la Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, ha annullato con rinvio la sentenza del Tribunale di Massa, limitatamente al punto concernente la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente.

Il fatto

L’evento risale al 2017, quando un uomo, in sella alla propria bicicletta elettrica, ha provocato un incidente.

Al momento dell’alcoltest, il soggetto, risultava guidare il velocipede con un tasso alcolemico pari a 2,98 grammi per litro.

Secondo il C.d.S., non può essere punito con la revoca della patente il ciclista che guida sotto l’effetto di alcolici.

Il Tribunale, al contrario, ha revocato la licenza di guida poichè la bicicletta era con pedalata assistita e, pertanto, necessaria la patente ai sensi del Reg. Europeo n. 168/2013.

La pronuncia 

Tale Reg. Europeo si applica solo ai mezzi con pedalata assistita con potenza superiore ai 250 watt (cicli a propulsione), muniti di targa; tutti gli altri sono considerati velocipedi.

Su questo assunto si basa il ricorso in Cassazione proposto dall’uomo che si è visto ritirare la patente di guida per la seconda volta.

La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza del Tribunale per un nuovo giudizio sul punto.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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L’iniziativa autonoma ex art. 1134 c.c. costituisce sempre una mera facoltà del singolo condomino, non certo un obbligo.

Il fatto

I condomini proprietari dell’ultimo piano di un edificio hanno demolito parte del tetto nel corso di lavori di ristrutturazione. Ciò ha creato dei varchi per le acque meteoriche, le cui infiltrazioni hanno provocato danni all’appartamento posto al penultimo piano.

Il proprietario di quest’ultimo ha, quindi, promosso un’azione di nunciazione nei confronti dei proprietari dell’abitazione sovrastante.

Il Tribunale di Savona ha condannato i convenuti al completamento delle opere di ristrutturazione e al risarcimento dei danni patiti dall’attore.

La sentenza è stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Genova.

I proprietari dell’immobile all’ultimo piano, allora, hanno promosso ricorso per cassazione, ritenendo che il proprietario del piano inferiore avrebbe potuto eseguire autonomamente le opere di straordinaria amministrazione necessarie per evitare alcuni danni.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10587, pubblicata il 16 aprile 2019, ha respinto il ricorso perché infondato.

Pur essendo vero che l’esistenza nel condominio di un amministratore non privi i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio, è altrettanto pacifico che l’intervento del singolo condomino a tutela dei beni condominiali sia una mera facoltà.

Il condomino che ha agito maldestramente sulla cosa comune cagionando un danno alla proprietà altrui, dunque, non può mai invocare la mancata iniziativa da parte del condomino danneggiato per andare esente da responsabilità.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

La Suprema Corte di Cassazione, confermando la statuizione della Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 11539, depositata il 2 maggio 2019, ha escluso la legittimità del licenziamento comminato ad un quadro, in quanto gli addebiti di inadempienza erano prive di specifiche direttive ed oggetto.

Il fatto

Il ricorrente fu destinatario dei seguenti addebiti: “a) nell’invio di una polemica ed irrispettosa lettera a cinque superiori prima della formalizzazione dell’incarico poi affidatogli per un progetto da sviluppare, b) nell’aver frapposto svariate difficoltà di ordine personale e professionale durante l’intero corso della missione e nell’aver presentato in ritardo un testo progettuale del tutto carente, c) nella recidiva in cui il dipendente era incorso per la sanzione della sospensione di 8 giorni irrogatigli nel 2011 “

Secondo il Giudice del gravame i fatti contestati all’ex dipendente non integrano gli estremi, né di un licenziamento per giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, né di un recesso datoriale per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, la comunicazione inviata ai dirigenti superiori, che la società sosteneva contenere espressioni offensive o sgarbate, risultava essere una semplice missiva priva di insulti in cui il dirigente esprimeva i propri dubbi in merito al nuovo incarico affidatogli, riguardante l’organizzazione di un progetto in Ungheria.

Inoltre, il datore di lavoro, impartendo un incarico di scarsa definizione dell’oggetto e in assenza di preliminari colloqui con il dipendente diretti a chiarire le sue mansioni, violava i principi di correttezza e buona fede, che si concretizzava: a) nella tardiva reprimenda a fini disciplinari fatta al ricorrente per la lettera da lui inviata ai superiori in data 26.7.2011, b) nel non aver considerato che, sin dal 11.8.2011, il dipendente aveva inviato al suo diretto superiore la bozza preliminare del suo studio, poi approfondita e completa il 31.8.2011.

Si escludeva infine la scarsa qualità dell’elaborato/progetto in quanto la società non avrebbe promosso precise e concrete contestazioni di errori tecnici, documentali e formali, ma addebitava solamente una “mancanza di impaginazione e di titoli giusti, all’uso di un programma informatico piuttosto che un altro”.

L’ex datore di lavoro depositava ricorso per cassazione con unico motivo, deducendo l’inosservanza degli artt. 2119 c.c. e 3 St. Lav. per aver inquadrato gli addebiti solo nel suo complesso, in violazione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondi cui anche una unica contestazione grave legittima il licenziamento per giusta causa.

La pronuncia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per cassazione, confermando che non necessariamente l’esistenza della giusta causa di recesso debba essere ritenuta idonea al complesso dei datti contestati, ma bensì ciascuno di essi possono giustificare l’espulsione per violazione del vincolo fiduciario (cfr. Cass. n. 1062/2012).

Infatti, il giudice di merito ha il dovere di valutare in concreto ogni singola inadempienza, anche in riferimento al contesto complessivo della contestazione.

Ne deriva l’illegittimità del recesso datoriale qualora le contestazioni addebitate fossero prive di concrete e specifiche direttive ed oggetto.

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Dott. Dusko Kukic

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, con la tesi finale in diritto del lavoro, “il potere di controllo sul prestatore di lavoro”, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Vicenza, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo. Si occupa prevalentemente di diritto del lavoro.

Il TAR BRESCIA, sezione II, con la sentenza n. 426, depositata in data 2 Maggio 2019, ha stabilito che l’amministrazione è obbligata a restituire al privato le somme da lui corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, qualora lo stesso rinunci o non utilizzi il permesso di costruire rilasciato.

Il fatto

La ricorrente pagava al Comune gli importi dovuti a seguito del rilascio del Permesso di Costruire per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.

La stessa poi rinunciava ad eseguire i lavori autorizzati dal titolo e presentava richiesta di rimborso degli oneri corrisposti, senza ottenere alcun riscontro dal Comune, che pertanto veniva convenuto in giudizio.

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della Sezione il contributo concessorio è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio, pertanto qualora ciò non si verifichi il relativo pagamento è privo della causa dell’originaria obbligazione di dare e il privato ha diritto alla restituzione di quanto versato per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.

Il diritto alla restituzione sorge sia nel caso che la mancata realizzazione delle opere sia totale, sia quando il permesso di costruire sia stato utilizzato parzialmente.

Nel caso di specie la società ha rinunciato all’esecuzione delle opere autorizzate e per tale motivo non ha comunicato l’inizio dei lavori, presentando una richiesta di rimborso degli oneri corrisposti all’amministrazione competente.

Il TAR ha accolto il ricorso e condannato il Comune alla restituzione degli importi dovuti a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione. 

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Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

Le buste paga rappresentano la copia di competenza del lavoratore del libro unico del lavoro. Esse fanno piena prova nei confronti del datore di lavoro e costituiscono una confessione stragiudiziale dello stesso, di cui il giudice deve necessariamente tenere conto.

Il fatto

Il Giudice delegato al fallimento di una società non ha ammesso il credito vantato da un lavoratore subordinato, perché non avrebbe fornito una prova sufficiente.

All’esito del conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo, il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, ha riconosciuto solo parzialmente il credito del dipendente.

Quest’ultimo, allora, ha promosso ricorso per cassazione, ritenendo che le buste paga avrebbero di per sé dimostrato la sussistenza del rapporto e dei diritti vantati dal dipendente.

La pronuncia

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo fondato e ha, dunque, accolto il ricorso.

Secondo gli Ermellini, le buste paga consegnate ai dipendenti costituiscono dei documenti esattamente corrispondenti nel loro contenuto alle scritture che li riguardano all’interno del libro unico del lavoro.

Le copie delle stesse rilasciate dal datore di lavoro ai dipendenti, dunque, hanno piena efficacia probatoria del credito che questi ultimi intendono insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il medesimo datore.

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Avv. Mattia Verza

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

Il Tribunale di Udine, con sentenza 1242/2018, in una controversia opponente un appaltatore e una pubblica amministrazione appaltatrice in materia di esecuzione di un appalto pubblico, si è espresso sul lanoso problema della giurisdizione.

Il fatto

È noto, infatti, che a più riprese sia posta la necessità di comprendere dove debba essere individuato lo spartiacque tra la giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione ai contratti d’appalto e concessione pubblici.

Spesso la giurisprudenza ha posto tale confine individuando il momento fondativo della giurisdizione ordinaria nella stipula del contratto e, pertanto, in una fase a valle delle operazioni di gara.

Il caso di specie era, tuttavia, particolare giacché il contratto non era mai stato sottoscritto.

La pronuncia

Il Tribunale ha fissato tale regula iuris: in materia di appalti di opere pubbliche sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le sole controversie relative alle procedure di affidamento dei lavori, che si concludono con l’aggiudicazione.

Ogni controversia derivante dall’esecuzione del contratto nascente da condotte ascrivibili alla P.A. o alla parte privata, nella fase di espletamento del servizio oggetto della procedura d’evidenza pubblica, seppur precedente la stipulazione del contratto, è devoluta alla giurisdizione ordinaria.

Avv. Federico Tosi

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano e in Diritto Belga presso l’Université Catholique de Louvain-la-Neuve. Ha conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Bari ed è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Bari. Si occupa di Diritto Civile e di Diritto dello Sport.