Le offese ricevute sui gruppi Whatsapp sono perseguibili?
La Corte di Cassazione con sentenze nn. 10905/2020 e 29221/20211, scrive: «se l’offesa viene proferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi dell’ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato). Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione […]»
Pertanto, l’invio di messaggi denigratori hanno rilevanza penale solo se il relativo destinatario non risulta “online” nel momento in cui le offese vengono inviate (e, quindi, non è in grado di leggerla contestualmente), oppure, se non facente parte dei partecipanti del predetto gruppo.
Analizzando il contenuto dell’insulto (non solo turpiloqui e toni aspri, ma anche illazioni che potrebbero suscitare un dubbio sulla moralità o professionalità della vittima) si comprende se questo rientra nell’esercizio della critica, o, se consiste in attacchi alla moralità/professionalità di una persona, valutando così se tali messaggi rientrano nell’ingiuria (illecito civile) o, nella diffamazione (reato).
Così esponendo, si riporta come il Codice Penale disciplina i due istituti giuridici.
L’ingiuria: chiunque offenda l’onore o il decoro di una persona presente viene punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,00,
La diffamazione: “Chiunque comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione” viene punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032,00. stabilito dall’art. 595 del Codice Penale .