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La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 17590/2019, depositata il 28 giugno 2019, ha disposto che la domanda di addebito della separazione può essere introdotta con una memoria integrativa ex art. 709, comma 3, c.p.c.

Il fatto

La Corte di appello ha rigettato l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha addebitato la separazione al marito poichè è stata ritenuta tempestiva la domanda avanzata in primo grado dall’altro coniuge, nella memoria integrativa di cui all’art. 709 c.p.c., comma 3.

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinnanzi alla Corte di cassazione invocando la tardività della domanda di addebito della separazione con la memoria integrativa ex art. 709, comma 3, c.p.c. invece che richiederla nel ricorso introduttivo ex art. 706.

La pronuncia 

La Corte romana ha dichiarato improcedibile il ricorso affermando che, come già ribadito da altre sentenze, è sufficiente che la volontà di un coniuge di addebitare la separazione all’altro sia ricavabile dalla lettura complessiva dell’atto.

Per tale motivo viene cristallizzato il principio secondo cui la domanda di addebito della separazione può essere introdotta, per la prima volta, con la memoria integrativa di cui all’art. 709, comma 3, c.p.c..

domanda di addebito memoria integrativa

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Il Giudice di pace di Brindisi, con la sentenza n. 1052, depositata in data 31 Maggio 2018, ha condannato la compagnia aerea al risarcimento dei danni subiti da alcuni viaggiatori per la cancellazione di un volo, senza fornire altre soluzioni alternative, che di fatto ha costretto loro a rinunciare al viaggio in Portogallo.

Il fatto

Gli attori citavano in giudizio la compagnia aerea per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa della cancellazione del volo, senza che venisse fornita loro la possibilità di riprotezione sul primo volo utile successivo oltre al rimborso del prezzo del biglietto.

Si costituiva la compagnia convenuta eccependo il difetto di giurisdizione del giudice italiano nonché il rigetto della domanda.

La pronuncia

Sulla Giurisdizione del Giudice Italiano, in base alla recente pronuncia della Corte di Giustizia UE, sez. IV, 9 luglio 2009, C-204/2008, è competente il Giudice del luogo di partenza o atterraggio del volo aereo a conoscere la richiesta di compensazione pecuniaria basata sul contratto di trasporto aereo.

Per quanto riguarda il risarcimento dei danni subiti, il Regolamento CE n. 261/04 disciplina la cancellazione del volo e il ritardo prolungato, oltre al caso di negato imbarco dovuto ad overbooking. La normativa prevede che, in caso di cancellazione del volo, il passeggero ha diritto cumulativamente: al rimborso del prezzo del biglietto e, se del caso, al volo di ritorno verso il punto di partenza iniziale, oppure ad un volo alternativo verso la destinazione finale da prendere immediatamente o in una data successiva di gradimento, oltre ad altri servizi per agevolare i viaggiatori e contenere i disagi subiti.

Nel caso di specie la compagnia aerea non ha ottemperato a quanto previsto dalla normativa e pertanto è stata condannata al pagamento rispettivamente della compensazione pecuniaria, del rimborso spese per la cancellazione del volo e di un importo supplementare per i gravi disagi subiti.    

Sent. GdP Brindisi

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

La Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27927/2019, depositata il 25 giugno 2019, ha statuito che l’indifferenza riposta nell’acquisto di un cellulare, da parte di un soggetto, non esclude i profili del reato di ricettazione.

Il fatto

Il Tribunale ha condannato una persona che, recatosi presso un mercatino dell’usato, ha acquistato un telefono cellulare senza prima premurarsi della natura illecita del bene.

La Corte d’Appello ha confermato quanto deciso in primo grado in realzione al delitto di ricettazione.

L’imputato ha, così, proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione della legge penale in relazione all’elemento soggettivo di tale delitto in assenza dei requisiti del dolo eventuale nell’acquisto di uno smartphone effettuato con mera indifferenza.

Altro motivo addotto, riguarda l’accertamento dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione desunto dall’uso della scheda simintestata all’imputato.

Come ultimo motivo, il vizio di motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche, motivato con l’assenza di segnali di resipiscenza.

La pronuncia 

La Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondati il primo e secondo motivo di ricorso, poichè afferma che l’imputato, che è stato trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, e non viene provata l’origine del possesso, risponde del delitto di ricettazione; questo perchè, l’assenza di giustificazione, costituisce prova della conoscenza dell’illecita provenienza della res.

Il dolo di ricettazione si atteggia nel dolo eventuale quando, il soggetto agente, accetta consapevolmente il rischio che la cosa acquistata sia di illecita provenienza.

Per tali motivi, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende.

cass pen ricettazione telefono comprato al mercatino

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Il Tribunale di Asti, con sentenza n. 387/2019, depositata il giorno 08 maggio 2019, ha condannato un legale rappresentante di una azienda agricola a 6 mesi di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa per avere alterato il vino “Barolo”.

Il fatto

L’operazione è stata posta in essere vinificando delle uve Nebbiolo fuori dal territorio di origine previsto dal disciplinare di produzione.

I controlli effettuati dai NAS, hanno portato alla luce che il titolare dell’azienda agricola vinificava, invecchiava e imbottigliava, non nella azienda del cognato, che si trovava in Barolo, come aveva dichiarato, bensì fuori dai confini del territorio autorizzato.

La pronuncia 

Il Giudice ha ritenuto di condannare l’imputato, poichè nessun motivo fatto valere dalla parte era in grado di sconfessare quanto orchestrato.

Il vino Barolo è stato classificato come denominazione di origine ed il Giudice è partito da questo assunto per applicare l’art. 517 quater c.p..

Il D.M. 17 aprile 2015, all’art. 5, afferma che “le operazioni di vinificazione ed invecchiamento devono essere effettuate nella zona delimitata dall’art 3”.

Per tale motivo è stato applicato l’art. 517 quater c.p., poichè la rilevanza penale della contraffazione, dell’alterazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, non richiede l’idoneità delle indicazioni ingannevoli che portano il consumatore ad essere indotto in errore.

Con la sentenza dovranno essere confiscati e distrutti 258 ettolitri di vino e 692 bottiglie di vino falsamente attestato Barolo DOCG.

 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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Con la sentenza n. 2190 del 20 maggio 2019, il Tribunale di Bari ha chiarito e ribadito il valore processuale della quietanza liberatoria

Il fatto

All’origine della lite, vi era un contratto di cessione del credito.

Tuttavia, la parte cedente conveniva in giudizio la cessionaria chiedendo condanna della stessa a causa del supposto mancato pagamento del prezzo pattuito.

Costituitosi in giudizio, il convenuto eccepiva l’infondatezza della domanda attorea giacché, in una successiva scrittura privata, parte attrice aveva fornito alla convenuta ampia quietanza liberatoria.

La pronuncia

Il Tribunale ha affermato che la quietanza è un atto unilaterale recettizio e non negoziale in quanto forma una dichiarazione di scienza con cui un soggetto riconosce quanto è stato prestato da taluno.

Dovendosi attribuire a tale atto la qualifica di confessione stragiudiziale, quest’ultimo assume valore probatorio di piena prova che preclude la prova contraria circa l’avvenuto pagamento del debito.

Il Tribunale ha anche chiarito che la dichiarazione contenuta nella quietanza, essendo irrevocabile, può essere invalidata solo dando la prova dell’errore o della coercizione.

Non ricorrendo nel caso di specie simili circostanze il Tribunale di Bari ha rigettato la domanda.

Trib. bari

Avv. Federico Tosi

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano e in Diritto Belga presso l’Université Catholique de Louvain-la-Neuve. Ha conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Bari ed è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Bari. Si occupa di Diritto Civile e di Diritto dello Sport.

 Il T.A.R. Liguria, con la sentenza n. 604, Sezione I, depositata in data 09 luglio 2018, ha ritenuto che una piscina realizzata all’interno della proprietà privata e posta all’esclusivo servizio dell’edificio principale va qualificata come pertinenza urbanistica e pertanto non soggetta ad un preventivo titolo autorizzativo.

Il fatto

La ricorrente impugnava l’ordinanza del Comune di Genova che ordinava la demolizione di una piscina condominiale realizzata in un sito diverso da quello previsto e con dimensioni maggiori rispetto al progetto approvato.

Il Comune, costituitosi in giudizio, si opponeva all’accoglimento del ricorso in quanto infondato nel merito.

La pronuncia

Secondo la giurisprudenza della sezione si configura una pertinenza urbanistica quando si verifica un collegamento funzionale e oggettivo tra il bene accessorio e quello principale, che consente esclusivamente la destinazione del bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, a condizione che il manufatto non comporti un maggiore carico urbanistico.

Nel caso di specie la piscina realizzata “ a raso” nella non immediata vicinanza del complesso residenziale va qualificata come pertinenza urbanistica non soggetta al rilascio di un titolo edilizio, in quanto posta all’esclusivo servizio dell’edificio principale (come disciplinato dal regolamento condominiale) e non può essere utilizzata in modo separato dallo stesso, non avendo autonomo valore di mercato.

TAR Genova, sez.I, 640_2018

Dott. Marcello Orlandino

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Verona, nel Registro dei Praticanti abilitati al patrocinio. Si occupa prevalentemente di diritto amministrativo e diritto civile.

 

 

La Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15730/2019, depositata l’11 giugno 2019, ha disposto che se l’handicap dei genitori comporta una condizione di rischio per i figli, questi ultimi possono essere adottati.  

Il fatto

Due genitori, portatori di handicap, hanno proposto ricorso per evitare che il figlio venisse inserito nelle liste di adozione.

In tal caso, sia il Tribunale che la Corte d’Appello, a seguito di perizie, hanno diagnosticato alla madre un ritardo mentale di media gravità e per questo seguita da Servizi Sociali.

Il padre, affetto anch’egli da ritardo mentale lieve, però associato all’uso di alcol e cannabinoidi.

Non è stato messo in dubbio dai giudici l’amore dei genitori e la profusione d’affetto nei confronti del figlio, il problema si verifica quando, nella cura primaria del figlio, viene ad ingenerarsi un rischio.

La pronuncia 

Dello stesso avviso è stata la Cassazione che ha confermato quanto deciso dal Tribunale prima, e i giudici territoriali poi, affermando che la malattia dei genitori, potrebbe compromettere irreversibilmente, secondo i Giudici, «la capacità di allevare ed educare il figlio, traducendosi in una totale inadeguatezza a prendersene cura».

In conclusione, la Corte, ha deciso valutando il benessere psico-fisico del bambino che può essere salvaguardato solo con l’adozione.

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Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21479/2018, depositata il 31 agosto 2018, ha statuito che l’ex convivente more uxorio che, al termine della convivenza, ha apportato migliorie alla abitazione di proprietà dell’altro convivente, ha diritto a vedersi riconosciuto il rimborso delle spese sostenute.  

Il fatto

Durante la convivenza, un soggetto ha messo a disposizione una somma di denaro per ristrutturare e arredare l’abitazione.

La casa era di proprietà dell’altro convivente e, venuta meno la convivenza more uxorio, l’ex che aveva versato le proprie finanze per migliorare l’abitazione, aveva, chiaramente, subito un impoverimento.

Di talchè, lo stesso soggetto decideva di adire il Tribunale per farsi rimborsare la spesa sostenuta.

La richiesta di restituzione era stata proposta a titolo di arricchimento senza causa e/o di indebito oggettivo.

La pronuncia 

La Cassazione ha confermato quanto deciso dai giudici territoriali, precisando che la somma versata per ristrutturare e arredare l’immobile, da parte dell’ex, ha depauperato le finanze generando un ingiustificato impoverimento, non potendo lo stesso più goderne.

Ha creato anche un oggettivo arricchimento alla ex convivente, proprietaria della abitazione, che dalla futura vendita avrebbe potuto ricavare un importante profitto.

Rimborso

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Corte di Cassazione, Sezione Seconda civile, con sentenza n. 13680/19, depositata il 21 maggio 2019, ha disposto che in ambito di revocazione del testamento, nell’ipotesi che vi siano dei figli non riconosciuti, l’art. 687, comma 1, c.c., prevede una modificazione dell’assetto familiare rispetto a quanto deciso dal de cuius quando ha disposto dei suoi beni.

Il fatto

Durante l’iter processuale di una causa di successione familiare, il figlio naturale non è stato riconosciuto come tale pur essendo a conoscenza, il de cuius, dell’esistenza.

Il ricorrente, ha sostenuto nel motivo di ricorso la violazione dell’art. 687 c.c..

Precisa che va revocato, in presenza di un figlio naturale non riconosciuto, il diritto di testamento.

La pronuncia 

La Cassazione ha ribadito che in presenza di testamento e di figli naturali non riconosciuti, vi è un fondamento oggettivo che riguarda la modificazione dell’assetto familiare rispetto a quando il de cuius ha disposto dei suoi beni.

In conclusione, è stato accolto il ricorso del figlio poichè, il testatore, ha redatto un testamento essendo a conoscenza di avere un figlio.

Articolo

Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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La Corte di Cassazione, Sezione Quarta penale, con sentenza n. 22080/19, depositata il 21 maggio 2019, ha statuito che il comportamento dell’automobilista alla guida non è da ritenersi punibile poichè il superamento della soglia di punibilità è ridotta, non ha posto in essere manovre pericolose e ha guidato durante la notte senza traffico.

Il fatto

Un automobilista tedesco ha percorso una strada extraurbana e, in seguito ad un controllo della polizia stradale, è risultato avere un grado alcolemico poco al di sopra del limite legale.

Il tasso alcolemico rilevato è di 0,82 grammi per litro.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello poi, hanno convenuto sulla punibilità del soggetto.

La pronuncia 

La Cassazione, invero, ha ritenuto non punibile l’automobilista, poichè il comportamento posto in essere è stato ritenuto di lieve entità dato che lo stesso era incensurato e senza carichi pendenti per fatti diversi.

Inoltre, è stato ritenuto lieve la circostanza del superamento di pochi grammi per litro, non è stata posta alcun tipo di manovra pericolosa per altri automobilisti e guidava in assenza di traffico e alle quattro della mattina.

Per rafforzare la decisione, gli Ermellini, hanno indicato che sul verbale non era stata annotato alcun tipo di violazione di norme del Codice della Strada.

Per tale motivo la Corte ha sancito la non punibilità dell’automobilista ex art. 131 bis cod. pen..

Sent non punibilità tasso alcolemico 0,82

 Avv. Marco Damoli

Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dopo aver conseguito l’abilitazione presso la Corte d’Appello di Venezia, è iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona. È esperto di diritto civile e diritto commerciale.

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